DISCOUNT OR DIE

LA SUBLIME ARTE DI VIVERE SOTTOCOSTO

Era il 2010 quando è nato Discount or Die.

Scegliere tra le infinite sottomarche (sconosciute o fieramente imitative che siano) è insidioso come scrivere una poesia: o è una schifezza o è qualcosa di sublime. Non ci sono vie di mezzo.

Questo blog nasce con lo scopo di condividere esperienze e creare un archivio collettivo e corale su ciò che c’è di schifoso e sublime nei discount e nell’universo delle sottomarche.

Ma visto che non ho voglia di raccontare tutto dal principio, rimando a questa bella intervista (di qualche anno fa) di Diva & Nerd che copio&incollo perché è davvero esaustiva, ma anche perché sono pigra.


Lovvati lettori, oggi ho una sorpresa per voi: in questo post infatti vi propongo qualcosa che desideravo fare da tempo, ovvero un’intervista a Valeria Brignani creatrice dello splendaviglioso blog all’insegna del low cost “Discount or Die”, con incluso anche nel pacchetto Alberto, collaboratore e amministratore del blog (lo trovate con lo pseudonimo “Attraenti Logiche”) e a sua volta immolatosi sull’altare del magico mondo dei discount.

Ma prima di tutto: che cos’è Discount or Die, e chi è Valeria?

Discount or Die (o D.o. D per gli amici) è un blog che nasce “con lo scopo di condividere esperienze e creare un archivio collettivo e corale su ciò che c’è di schifoso e sublime nei discount e nell’universo delle sottomarche“; Valeria, sua fondatrice e curatrice, è nata a Varese nel 1982 ed è una scrittrice che ha il suo esordio letterario nel 2005 con il romanzo “Casseur”, partecipando anche a diverse raccolte di racconti.

Complice la vicinanza geografica, per fare quest’intervista mi sono divertita a fare l’inviata poraccia e ad andare a casa di Valeria con Alberto per fare la chiacchierata con cui ho raccolto le informazioni per il post, armata di quadernetto/residuato bellico delle scuole elementari, penna e applicazione per registrare installata fresca fresca sul cellulare.

Una volta arrivati in quel di Tradate Valeria, che sembra avere 19 anni e che ci accoglie con un gran sorriso, ci invita a sedere e, tra uno snack low cost e una birra, cominciamo a fare quella che più che un’intervista risulta essere una piacevole chiacchierata. Nella trasposizione dell’intervista vorrei sottolineare di non aver usato censure, perché le parti più divertenti ed in linea con lo spirito del blog sono per l’appunto quelle più triviali: si capirà l’importanza di questa trasparenza intellettuale più in là nell’intervista. Pronti? Cominciamo!

Qual è stato il prodotto più schifoso che avete dovuto recensire per discount Discount or Die?

Valeria: Le palle dello yeti, dei dolcetti al kiwi.

Alberto: Li avevo comprati in un negozio di alimentari rumeno vicino casa mia che, chissà per quale motivo, poi ha chiuso. Sembravano proprio dei testicoli di yeti.

Valeria: Al secondo posto metto la Capirinha dei cenobiti, che erano venduti alla Lidl ed erano degli spumantini aromatizzati che dovevano essere dei cocktail tipo capirinha e caipiroska. E’ stato come bere il detersivo per piatti, di una frizzantezza esagerata. L’ho bevuta con quattro amiche e a me è venuta la cistite, e a tutte quante è venuto il cagotto. Era cagotto liquido. E schifoso da bere: perché ci sono un sacco di cose che sai che ti fanno male, però accetti il fatto che ti facciano male perché ne vale la pena. Invece quello no: era solo dolore.

I testicoli di yeti dunque sono stati comprati non in un discount, ma in uno spaccio etnico.

Alberto: Sì, comunque low cost. Anzi, erano talmente tanto low cost, facevano così schifo, che il proprietario me li aveva regalati. Costavano tipo boh, 50 centesimi per 15 kg. Adesso, non vorrei sottolinearlo troppo, ma sembravano veramente dei testicoli di yeti. Erano delle palle, fatte male, grosse così, bianche. E dentro verdi.

Valeria: Verdi perché teoricamente dentro dovevano essere al kiwi.

Alberto: In teoria, in pratica non so. Ma niente dolore per le palle dello yeti, al massimo solo per lo yeti.

Valeria: Poi ci sono state altre due cose abbastanza estreme: gli assorbenti interni del discount. Per i preservativi no, dico no.

Alberto: Nessuno ha osato.

Valeria: E poi c’è stata questa cosa che mi ha fatto male al cuore: una schiuma rosa per fare il bagno: sul packaging c’erano scritte cose meravigliose, in base alle quali con la schiuma si potevano costruire “castelli di fate”, c’era scritto proprio così. E alla fine l’ho messa nella vasca, non ha fatto alcuna schiuma e ha solo colorato l’acqua della vasca di rosa shocking, con un odore fortissimo di ciliegia. Ma visto che ci credevo tanto, ho fatto il bagno lo stesso, e per qualche strana ragione lo smalto che avevo ai piedi mi si è sollevato tipo pellicola.

Alberto: Lei prima del bagno era un uomo.

E il prodotto che vi ha dato più soddisfazione?

Valeria: La birra e i legumi. Legumi e scatolame sono decisamente buoni.

Alberto: E il dolce verde. Il futuro non è roseo, ma verdeo, come il titolo della recensione.

Valeria: Era un budino al pistacchio? No, alla menta. Menta e cioccolato.

Parliamo della nascita di Discount or Die.

Valeria: Discount or Die è nato a Domenica Uncut, un cineforum domenicale in cui cucinavamo e offrivano un minimo di bere e mangiare alla gente che veniva, assolutamente low cost. E dunque ho cominciato dalle birre, sperimentando quali fossero quelle più decenti. Ho iniziato forse con la Victor dell’Iper, che è pessima. Di birre in lattina da mezzo litro da 50 centesimi ce ne sono di molto buone e di pessime: la Victor è la peggiore.  Però poi man mano, sperimentando queste birre ne abbiamo trovate di buone, ed è nata l’idea di parlare al mondo delle cose buone che si trovano al discount. Poi ai tempi stavo facendo un corso di copywriting allo IED di Milano, in cui si diceva che ormai la pubblicità è cambiata e non è più un mondo terribile.  Adesso infatti non ha più senso dire “bevete il mio vino perché è buono”, perché ormai la gente parla su internet, è tutto molto più democratico, e quindi non si può più ingannare il consumatore, a cui serve qualcos’altro. Mi sono fermata la primo passaggio che dice “i consumatori parlano tra loro”. E un giorno mi annoiavo e in mezzo pomeriggio ho fatto le grafiche di Discount or Die, ho aperto il blog su WordPress e ho pubblicato la prima recensione di una birra che era…?

Alberto: All’inizio facevamo solo birre.

Valeria: Poi Alberto da subito ha aderito cominciando a mandarmi le recensioni, e ricordo che i primi tempi mi controllavo perché avrei fatto uscire una recensione al giorno: adesso una al mese è già tanto. Quando poi abbiamo iniziato a recensire prodotti che non fossero birra mi sono resa conto di non essere competente.

In che senso non competente?

Valeria: Beh, di birre me ne intendo un sacco.

Alberto: Lo dice anche un po’ vantandosi!

Insieme: Birre ignoranti!

Dietro Discount or Die c’è dunque un discorso di sincerità verso i consumatori e di competenza di quello di cui si sta parlando?

Valeria: Sì, ma si tratta di “non competenza”: è sincerità di pancia. Perché la maggior parte delle persone quando va a a fare la spesa giudica il prodotto tramite tre fattori: il prezzo, il fatto che sia commestibile o meno, e il fatto che magari sia divertente.

Da lì la scelta di avvalersi di altri collaboratori.

Valeria: Questo è stato spontaneo, è veramente nato dal concretizzare il cazzeggio della domenica. Al portava i testicoli di yeti, l’altro che arrivava dicendo “minchia, ho trovato questa cosa”…

Alberto: E’ comunque tutto parte di un grosso processo di autopunizione. Di base secondo me oltre al divertirsi c’è l’autopunizione, e la sua manifestazione più grande è stato il blind test delle birre. Non so cosa c’è venuto in mente, ma abbiamo deciso di farlo con le birre a temperatura ambiente, perché qualche giorno prima il mio capo mi aveva parlato di tornei di assaggio di gelato e gli esperti,  per riconoscerne bene il sapore, lo assaggiavano a temperatura ambiente. Ho pensato che anche la birra poteva avere un sapore diverso. Solo che facevano cagare tutte. Ed erano tante.

Tante. Tutte. Cagare.

Alberto: Assolutamente, infatti l’ultima foto del post dedicato al blind test è quella di un lavandino. Noi eravamo in 4 e le birre erano circa 10? 15? Mezzo litro a lattina…Sette litri di birra calda, anche no. Se è buona la bevi volentieri, ma se fa schifo…

Avete ricevuto delle richieste da esterni per collaborare al blog?

Valeria: Sì, alla fine purtroppo ultimamente il blog è andato avanti grazie ai contributi esterni.
Si va a periodi, come una sorta di infatuazione. Magari ci sono persone che non ho mai visto in vita mia che hanno scritto tante recensioni, come un collaboratore di Rimini che fa delle recensioni che mi piacciono un sacco. Poi è arrivato anche un ragazzo di Udine/Trieste/Pordenone che scrive 8 cartelle per recensire una birra: scrive da dio e mi piace, perché so che D.o. D è l’unico spazio che può contenere 8 cartelle di Word per recensire una birra.

Alberto: Una birra di merda tra l’altro.

Valeria: Dunque per tornare a ciò che ti dicevo prima, quando mi sono resa conto di non avere le competenze per poter gestire tutto dal punto di vista tecnico, poi l’ho buttata sul cazzeggio. Ricordo che la prima recensione di prodotti che non fossero birra è stata quella delle farine Rivercote per la macchina del pane, in cui avevo buttato dentro il discorso “fai contenti i tuoi amici hippy”. Da lì è nato un secondo livello interpretativo del prodotto, in base al quale l’assorbente interno del discount è legato a Britney Spears o alle starlette della Disney che sbroccano, e tante altre cose.

Com’è stato vedere D.o. D diventare un libro?

Valeria: Una figata pazzesca, però l’hanno fatto diventare una cosa seria. Mi hanno fatto cancellare tutte le parolacce, e per parolacce intendo anche “puzza”. E’ stato difficile, e me ne sono accorta quando ho dovuto riscrivere e riadattare quello che era un linguaggio pieno di refusi, e a volte anche scritto di merda perché veramente, tra grafica foto e recensione era una cosa che non prendeva più di due ore per le recensioni più lunghe. All’inizio poi le recensioni erano al massimo di 5 righe, con un paio di informazioni tecniche e i pareri sul prodotto, successivamente sono diventate il pretesto per parlare di molto altro.

Alberto: Lei può parlarti di sassi, ma se nell’attualità è successo qualcosa su Marte lei parte a parlare di sassi per finire a parlarti di Marte, questa è la sua bravura. La madeleine di Proust è servita.

Valeria: La cosa incredibile di D.o. D è che tutti quelli che hanno recensito sono riusciti a citare almeno una volta a testa le madeleine di Proust.

Si è sviluppato un lato etico di D.o.D?

Valeria: Già ai tempi non mangiavo carne, poi con il tempo ho smesso di mangiare pesce e comunque è sempre stata presente una componente di sensibilità verso ciò che si acquista. Spesso si ricollega il low cost all’assenza di etica; effettivamente ci sono delle implicazioni a riguardo, come ad esempio l’assenza del concetto di impatto zero, dato che prodotti che costano poco hanno una vita più corta, si buttano più spesso e si produce tanta roba che va smaltita. Inizialmente il pay off era Low cost is the law, però purtroppo col tempo ho capito che per quanto fosse ironico, non era sempre vero. O meglio, è anche vero che preferisco prendere un tagliacapelli dai cinesi e sottopagarlo piuttosto che prendere un prodotto green-washed di Naturasì pubblicizzato come eccellente ed etico, perché nei fatti non è così. Mi stanno vendendo il mio senso di colpa, così come fanno le grandi multinazionali come Coca Cola e McDonald che ormai stanno facendo prodotti “green” perché si è aperta questa fetta di mercato che vende di più, il che però non vuol dire che smettano di produrre cose eticamente scorrette.
Preferisco sapere quello che sto facendo, anziché farmi prendere per il culo.

Alberto: Vorrei anche porre l’attenzione su una cosa, ovvero che non è mai stato recensito nulla di fresco. Per scelta. Magari inconsapevole, però nessuno di D.o.D ha mai detto “Vai a comprare la verdura alla Lidl piuttosto che all’Eurospin”, ma banalmente perché ti diremmo una cazzata. Come si fa a dire che è più buona? Questo riferito anche a carne e pesce. Non abbiamo coscienza di dirlo. Solo una volta è stata fatta una recensione di una colazione scozzese.

Valeria: E le salsicce! E’ stata fatta una serata in cui alla Lidl hanno preso tutti i tipi di salsicce, e da lì sono venute fuori tante associazioni e doppisensi molto divertenti, ed il discorso è arrivato a parlare di come una donna deve comportarsi sul lavoro, e di tutti i rischi che corre se è troppo rigida, disponibile, se sorride troppo…

Alberto: Discount or Die per il sociale.

Qual è il lettore tipo di D.o.D?

Valeria: Ce ne sono vari tipi, alcuni sicuramente legati alla – mi fa rabbrividire dirlo- “scena”, dunque al movimento Punk, centri sociali, per un discorso di attinenza anche agli argomenti trattati. In un articolo ho proprio scritto il decalogo riguardo al perfetto buffet da centro sociale: è uno degli articoli con più visualizzazioni. Poi c’è quella gente che cerca su internet tutte le recensioni e le informazioni dei prodotti per comprarli, e poi l’utente che mai mi sarei aspettata su D.o.D, che inizialmente ho cercato di gestire in modo diplomatico ma che poi ha cominciato ad insultarci pesantemente: le mamme che cercano informazioni dei prodotti per i figli. Mamme che cercano informazioni su pannolini, merendine, carne, che magari vorrebbero prendere cose low cost, ma che si sentono in colpa e cercano conforto sulla rete. Perché è risaputo che se tu compri cose non di marca, sei una pessima madre (ridono). Insomma se te ne freghi e prendi merendine sotto costo e vuoi però informarti ci sta, ma ci sono madri che mi riempivano di insulti perché pensavano che noi producessimo le cose del discount. “La vostra salsa è una merda! Fate CACARE!!1111! IO VI DENUNZIO! Il vostro budino sembra merda!” Signora, tutti i budini al cioccolato sembrano merda, sono marroni, sono molli, eddai.

Alberto: Tra l’altro magari scritto sotto ad una recensione che parlava male di quel prodotto, dunque non capendo niente.

Valeria: Poi una volta ho recensito dei prodotti presi alla settimana americana della Lidl e ho parlato del regista coreano Kim Ki Duk, dicendo, in parallelo alla scarsezza dei prodotti, che quando fa il finale all’americana sputtana il film. L’ho fatto per parlare male dei prodotti della settimana americana della Lidl, ma con quella recensione ho fatto incazzare un sacco di persone, l’America proprio non si può toccare.

Dunque da una parte ci sono lettori legati alla nicchia a cui D.o.D. si riferisce, una serie di analfabeti funzionali con prole e i filoamericani. Questo dice tanto sulla nostra società.

Valeria: Assolutamente. Inoltre Alberto ciclicamente fa una cosa bellissima, ovvero trovare i risultati con cui la gente arriva a noi da Google, ed è una cosa meravigliosa ma che al contempo fa paura, perché ti fa venire voglia di chiuderti in casa e di non uscire mai più.

Alberto: Ci sono alcuni termini di ricerca allucinanti. Un termine che va tantissimo è “La cacca di Arale”, perché lei una volta l’ha tirata in ballo. Ma poi a volte arriva gente che cerca “Zucchine nel culo”, trova D.o.D, ci entra e ci rimane!

Valeria: Una delle mie preferite era “Nonna in reggicalze”.

Alberto: Altri sono “Ami di più tuo figlio o il tuo gatto”, “Aglio odore nei testicoli”, “Sapore dolciastro in bocca cause”, “Bambini obesi simpatici”, e “Finte bestemmie” , “Capelli cinesi”, “Come mangiare il pane di segale”, “Da dove escono le lacrime”, “Faccia di frutta” e “Salsiccia nel culo di Norimberga” (risate generali). La gente usa Google come se fosse suo amico. E concludo con “Discount Discoteca”.

Valeria: Mentre tra i termini singoli spiccava spesso “coprofagia”.

Parlatemi delle collaborazioni che sono nate da D.o.D.

Valeria: Sicuramente Dissapore.com, solo che dopo qualche mese ho scritto 4-5 articoli e mi sono annoiata. Inoltre da un paio d’anni ho un po’ di stabilità lavorativa e la mancanza di tempo ha contribuito a far passare la voglia, perché anziché come un piacere mi risultava come un dovere. Per D.o.D. scrivo solo quando ho voglia di scrivere, e poi con il lavoro precedente ero vicina solo a grandi supermercati e non ai discount, dunque non avevo né tempo né voglia di spostarmi per comprare o preparare cose nuove.

Hai mai ricevuto proposte per fare delle “marchette” a dei prodotti?

Valeria: No, ci sono rimasta male (ride)! Trovo squallide queste dinamiche. E poi c’è tanto pudore. Quando ho presentato il libro di Discount or Die a Roma nelle vicinanze c’era un Todis, e la responsabile del discount era stata invitata dalla casa editrice alla presentazione ma non ha voluto venire, perché temeva e pensava di essere presa per il culo. C’è una forma di vergogna.

Dunque nell’opinione comune, se c’è un libro che parla di realtà come il Discount, se ne deve parlare per forza con snobismo?

Valeria: Sì, le stesse persone all’interno del sistema discount erano schive e scettiche.

Perché c’è questo pregiudizio secondo te?

Valeria: Perché siamo tutti degli ex poveri. L’Italia parte da un concetto di povertà, magari non per i nostri genitori ma sicuramente per la maggior parte dei nostri nonni.  Siamo il popolo vestito, che deve ostentare. Ti vedono al discount e ti vedono come un pezzente, quasi come se ci si dovesse giustificare se si va a fare la spesa lì.

Come potrebbe finire questa vergogna di andare al discount?

Valeria: Dipende. Ci sono discount per poveri poveri, e per meno poveri. L’Eurospin è un discount per poveri italiani, mentre il Penny Market è più fighetto, con prodotti bio e anche selezionati. La Lidl è un supermercato vero e proprio. All’estero non c’è distinzione tra discount e supermercato, ma la Lidl fa pubblicità sulla TV nazionale, è sponsor di una nazionale di calcio.

[Segue tra tutti noi una disquisizione di 20 minuti sulla cacca e sulle condizioni dei lavoratori dei supermercati e dei discount quando devono andare in bagno, che può essere riassunta con “schiavi costipati”]

Ti hanno anche dedicato una copertina su Cronaca Vera.

Valeria: E’ nata per caso, tramite un amico di amici di amici che collaborava per un’azienda che faceva video, ed era in relazione con Cronaca Vera perché si voleva lanciare “Cronaca vera TV”. Dunque lui è venuto a casa mia per filmare e documentare, ha cucinato con i prodotti del discount, ma prima siamo andati a fare la spesa e nessun discount ha voluto che si facessero delle riprese nel momento in cui lui diceva di essere un giornalista e io una blogger. I membri del personale e i dirigenti erano anche molto gentili e spesso giovani, ma hanno sempre rifiutato, e al sesto discount abbiamo deciso di presentarci in modo non onesto, e abbiamo detto che lui era un regista e io un’attrice. Ci hanno fatto girare senza problemi. Da lì sono andata alla sede di Cronaca Vera, e ho iniziato a scrivere una rubrica che si intitolava “Tiriamo la cinghia ma i buchi sono finiti”, ed è durata un paio di mesi. Anche lì, perché scattava la storia dell’obbligo, inoltre il target a cui gli articoli erano rivolti era molto diverso.

Nelle tue ultime recensioni hai iniziato a parlare di altre realtà low cost, come ad esempio i parrucchieri cinesi.

Alberto: Grandissima chiave di ricerca su Google!

Valeria: Il risparmiare e il non voler spendere troppi soldi viene visto come una sorta di fallimento sociale, perché siamo cresciuti in un’ottica secondo cui spendere tanto vuol dire vivere bene. E in D.o.D metto anche il parlare di parrucchieri cinesi, che per me è un discorso politico ma anche paraculo. Ora ti spiego: politico perché…Perché i cinesi non dovrebbero fare i capelli bene? Perché costano poco? Indaghiamo su questo fatto. Nella maggior parte delle volte sono imprese familiari, secondo le quali con un negozio si manda avanti una famiglia, presentando una realtà simile a quella degli alimentari e dei negozi che c’erano da noi 50 anni fa. Il discorso paraculo è invece il fatto che, quando ci sarà la terza guerra mondiale, mi alleerò coi cinesi, perché vinceranno tutto.
Sul serio, basta con persone che non vogliono prendere la metropolitana perché dicono che puzza o che evitano la mensa aziendale perché “è da sfigati”. Se ci sono persone, anche molto giovani, che hanno come valore quello di prendere un taxi pur guadagnando 600 euro al mese, vuol dire che c’è qualcosa di malsano. Ma si può dire: io voglio spendere meno? Non vuol dire per forza che io sia povero eh. L’esibizione oscena dell’arricchimento è tremenda, i veri ricchi non vedi che sono ricchi, i ricchi non ostentano perché hanno la possibilità di scegliere.
E’ che siamo cresciuti così. Siamo cresciuti da ragazzini prendendo per il culo quelli che avevano la tuta dell’Adidas con due strisce anziché tre, o chi non aveva la Smemoranda. Io la chiamo la generazione Mediaset, fatta dai figli dei paninari che sono cresciuti a suon di Drive-In e consumismo, che stanno crescendo i figli nello stesso modo. E questi sono i genitori che vanno a cercare su internet di nascosto come poter risparmiare sui pannolini. Forse Discount or Die ha risposto a queste persone.

Secondo te la prossima generazione sarà anti-Mediaset o no?

Valeria: Non lo so. Pur lavorando coi social media mi fa impressione vedere tavolate di persone alienate coi telefonini in mano. Io stessa ho sviluppato una sorta di dipendenza dalle app di e-commerce come Amazon o eBay, e se mi sento triste colmo il vuoto comprando qualcosa. So che sembra un discorso da vecchia, ma passando dal materialismo della generazione Mediaset non so come questa generazione dell’immateriale, del virtuale, possa approcciarsi al mercato. Da una parte sono positiva perché, per quanto il mercato possa essere vincolato da un discorso capitalistico e commerciale, una certa sensibilità maggiore sta passando, per quanto ovviamente sia sfruttata questa cosa, ma dall’altra non comprendo questa immaterialità. Lo dico da vecchia. I giovani. Non lo so.


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