Da più o meno trent’anni lotto contro il peso – però sono sportiva, lo lascio vincere – e nel frattempo mangio pane e ansia, perché mi sono riscritta all’università, lavoro con orari del menga e mi alimento in modo distratto. Non “distratto” tipo Dory de Alla Ricerca di Nemo, distratto della serie “digiuno tutto il giorno e arrivo a sera con l’appetito del Mostro di Milwaukee”, oppure “mi nutro solo di muschi e licheni per una settimana e mi vengono dei crampi inspiegabili, curabili soltanto con la pasta al pesto”.
Mi incazzo pure, perché io saprei cosa è giusto mangiare, me le so’ studiate ste cose, però vengo posseduta dallo spirito di Poldo, l’amico di Braccio di Ferro che mangia solamente panini, e mando tutto a ramengo. Per questo motivo, durante la prima quarantena, io e due amiche abbiamo deciso di provare ad allenarci insieme, via tragicomiche videochiamate di WhatsApp, durante le quali cercavamo di bruciare la trippa con l’entusiasmo di Jill Cooper sotto anfetamina. Questo esercizio, combinato a un’alimentazione schifosamente sana, ha dato i suoi frutti e ho perso 11 kg. Non vi preoccupate, amici da casa: sono ancora una chiattona.
Sembra comunque che io sia destinata a mettere peso durante il periodo autunnale, come i mammiferi che vanno in letargo, perché dopo le gioiose abbuffate natalizie (merito di un fidanzato campano che non cucina, ma si fa mandare la roba da giù) ho rimesso 4 kg. Attualmente, il mio equilibrio mentale è quello di Shelley Duvall mentre scappa da Jack Nicholson che brandisce un’ascia. Io sono Jack Torrance, Wendy i carboidrati semplici.
Mentre scrivo è il 30 di dicembre, gennaio è dopodomani, ma oggi sono piena di buoni propositi e mostaccioli. Ne approfitto anche per iniziare la mia lenta disintossicazione da tutto ciò che ha a che fare con il cioccolato: non lo faccio per salute, ma perché in particolare la vaniglia e il cioccolato sono gusti buoni, ma che hanno un po’ rotto i coglioni. Sarà una specie di patriottismo gastronomico, ma sto riscoprendo dei gusti che non assaggiavo da quando c’era la lira e questo mi rende più felice e potenzialmente meno in odor di diabete.
Per questo motivo, ho deciso di provare dei biscotti che sicuramente non saranno dietetici, però mi ricordano dei momenti dell’infanzia datati 1995 a.C., dove la sigla non sta per avanti Cristo, ma per “Anno del Codino” di uno stonatissimo e piacione Fiorello a Sanremo, con un pezzone a firma Repetto&Pezzali.
Finalmente tu, carboidrato sotto casa
La mia madeleine proustiana sono i cantucci, perché venivano infilati di straforo nei cesti di Natale ed erano le uniche cose delle quali i bambini potessero usufruire, fra bottiglie di spumanti dolciastri, funghi essiccati e cioccolatini al liquore tipo Prunella Ballor, in equilibrio fra il retrò e la rimanenza di magazzino.
E poi, i cantucci sono versatili, escludono il cioccolato e sono prodotti tutto l’anno.
Sono pure facili da replicare, ma siccome ho il forno mezzo rotto e mi escono male perfino le pizze surgelate, cedo alla pigrizia e scendo al Prix per comprare i Cantuccini alle mandorle de Il Pasticcere Fiorentino. A me questi nomi accattivanti non hanno mai convinto, come le pizze Taverna Giuseppe che hanno la mozzarella di Pripyat sopra. Leggo però che questi cantucci sono veramente fiorentini, tipo Pieraccioni, i Litfiba o il mio amico Lince, uno che potrebbe vincere una gara di bevute contro Mickey lo Zingaro di The Snatch e successivamente tenere un simposio sulle miniature di Warhammer. Condono a Pelù il fatto che dopo anni di eccessi non si possa essere proprio lucidissimi, però Pieraccioni sono anni che ci propina lo stesso tipo di film, cambiando titolo e cast usando il gioco delle tre carte; è colpa sua se ormai vedo i fiorentini come Stanis La Rochelle vede i toscani.
Non voglio cedere al pregiudizio. Anzi, voglio essere una persona migliore, più o meno come quando in Piazza San Lorenzo, sempre a Firenze, rischiai di essere accarezzata dalle nocche unte della resident matrona rom del circondario, rea di averle allungato soltanto 50 centesimi (era il 2013, sono povera adesso, figuriamoci allora). Bene stia a me e alla mia voglia di ecumenismo di retaggio cattolico. Per non cadere più nell’errore, oggi adotto la filosofia stalinista: zero carità, solo progettualità, per piani quinquennali di prosperità programmata fino al 2026.
1,49 euro di viaggi gastronomici e invettive
Nome: Cantuccini alle Mandorle
Cognome: Il Pasticcere Fiorentino
Provenienza: Prix Quality
Cittadinanza: Italiana
Residenza: Rignano sull’Arno (FI)
Contenuto: 300 grammi e il 20% di mandorle
Valutazione: 3,5/5
Croccanti, con la giusta proporzione mandorle/impasto e della dimensione e consistenza adatta a non portarsi via metà della mia arcata dentale. Questi cantucci sono un ottimo mezzo per introdurre i profani ai dolci rustici della tradizione italiana.
Però…
“Però, che cosa vuol dire però?” diceva Morgan in Altrove.
Dati gli ingredienti, questi biscottini sono buoni davvero. Però la vaniglia trionfa su un prodotto che ne avrebbe fatto a meno.
Maledetta vaniglia che ci obnubila i sensi!
Maledetto Hernán Cortés de Monroy y Pizarro Altamirano che ci ha fatti innamorare del baccello infame!
Tutto puzza di buono grazie a questa risorsa cheap ed efficace (chi ha più di 30 anni ricorderà i BonBons della Malizia, mefitici profumini adolescenziali), ma qui non ce n’era bisogno, mannaggia al Pasticciere.
Nascondere la vaniglia tuffando i Nostri nell’Earl Grey funziona, ma l’astio rimane: vaffanculo Pieraccioni, vaffanculo Pasticciere Fiorentino!
E la prossima volta, i cantucci senza vaniglia me li faccio io.