TUTT* DOVREBBERO FARE AUTOCRITICA FEMMINISTA.
PURE EMP ONLINE E L’E-COMMERCE TUTTO.
Il punto è che per varie ragioni non riesco più a fare la spesa al discount. Non per disamore, ma per questioni di tempo e praticità. Sto usando la Panda (comincia a essere vecchietta) sempre meno e cerco di raggiungere ogni loco a piedi. Questa cosa del camminare mi fa stare bene e mi sento che va ad allineare determinate cose brutte che faccio nei confronti del pianeta Terra e soprattutto del mio culo. Friggere, per esempio, è qualcosa che fa male ad entrambi.
C’è anche che, per le medesime ragioni – non ho tempo manco per mettermi lo smalto, tipo che devo programmare il mettimento dello smalto e inserirlo in agenda con il risultato che da mesi al posto di togliere e rimettere da zero, ci butto su un’altra mano ed ora le mie unghie sembrano delle millefoglie di petrolio e tossicità o la montagnola di sabbietta sotto cui i gatti seppelliscono le loro deiezioni – sto trascurando la militanza. Niente più assemblee, cortei, volantini e dibattiti. Della militanza mi è rimasta solo l’autocritica. Mi metto lì, durante le mie cene solitarie ad orari improponibili, e rifletto sulla mia giornata e mi chiedo: “dove ho sbagliato?”. La cosa fondamentale è che all’alba dei 33, per autocritica non s’intende più quel tipo di auto-fustigazione ed umiliazione masochistica adolescenziale per cui mi struggevo perché avevo le tette piccole e il naso grosso e volessi tette grosse e naso piccolo. No… Non è quel tipo di autocommiserazione contemplativa in cui ci si sente vittime di un mondo crudele. O si colpevolizza il proprio corpo per le tutte le nostre carenze affettive e relazionali. No… l’autocritica over 30 è:
- Ok, ho superato questo. Come potrei complicarmi ulteriormente la mia vita?
- Ottimo. Ho ottenuto tutto ciò che volevo. E ora cosa posso desiderare?
- Ho le braccia molli che ricordano le frange del bellissimo abitino bianco di Ozzy Osbourne durante il live a Londra nel 1978, ma se lo dico risulto superficiale.
- Ho fatto aprire un barattolo da un uomo. Tutto il mio percorso di autonomia ed emancipazione è stato un totale fallimento.
- Divento rossa se quello lì mi scrive frasi tenere su whatsapp. Tutto il mio percorso di indipendenza emotiva e la mia arte predatoria sono state un totale fallimento.
Ah, hai abbandonato la militanza e ti sei venduta al sistema! No… neanche quello. Magari. Anche come capitalista faccio abbastanza schifo. Perché? Perché quando vai al discount o compri delle calze a rete o dei leggins leopardati dai cinesi, SAI cosa stai comprando. Sai COSA aspettarti. Sai che non potrai pressoché essere deluso dal tuo acquisto. Zero aspettative ed un profilo bassissimo che potrebbe apparentemente stridere con la trashitudine dell’acquisto ma non è così. Se spendo 30 euro per degli stivali a cui devo staccare degli strass o un’etichetta improbabile, SO che probabilmente mi dureranno una stagione. Ma se spendo di più allora.. eh. Se spendo di più mi sentono! Ah. Maledetti produttori di robe che si rompono e che ci obbligano a comparare e buttare e comprare e buttare e inquinare.
L’esempio degli stivali non è causale.
Perché sebbene non riesca ad esprimere la mia militanza nel massimo delle mie facoltà, sto facendo il possibile nel mio piccolo (il privato è politico) a fare cose carine per la rivoluzione. Vi ricordo che questa recensione è iniziata dicendo che vado spesso a piedi. E a camminare tanto le scarpe si consumano. Tant’è che un paio dopo l’altro, tutti i miei stivali di merda da 30 euri sono periti e caduti come mosche che giocano a domino umano. A quel paio si è staccata la suola. A quell’altro si è bucata la fintapelle. A quelli s’è rotta la cerniera e se li metto non posso più toglierli.
Tutti casi disperati. Tranne quel paio che indosso dal 2008 circa. I Dottor Martens da 20mila buchi che non mi vogliono lasciare. Si è rotta la cerniera svariate volte. L’ho aggiustata. Sono meravigliosi. Ci vogliamo bene. Ne abbiamo viste di ogni. Altra eccellenza sta negli stivali da biker presi su Vegetarian Shoes. Ed ero lì, dunque, una sera a guardare tutti i miei stivali morti allineati e facevo autocritica: “quanta strada ho fatto, ma dove ho sbagliato?”
Grazie a iddio sono dotata di una particolare intelligenza e spirito di osservazione e sono giunta alla conclusione che ciò che distingueva i cadaveri dai vivi – come nella realtà del mondo immondo che ho sotto [spoiler] i miei stivali rotti – erano i soldi. I cadaveri non mi erano costati mai più di 30 euri. I due sopravvissuti guerrieri vichinghi biker fighissimi li avevo pagato qualcosa in più di 100 euri. Ed ecco la decisione ad impatto zero: mi compro delle scarpe decenti. Basta esperienze usa&getta. Basta cose effimere. Basta con la caducità del tutto qui e tutto ora. Pensiamo al futuro. Mettiamo la testa a posto.
Ed ecco che sono andata sul sito dove di solito acquisito i miei abiti tamarri e dopo consulenze e conflitti interiori, ho comprato questo paio di scarpe marca Refresh su EMP. 70 euri.
E questo è lo stato dei miei stivali dopo 15 giorni.
E questo è lo stato dei miei stivali dopo 30 giorni.
E la ragione di questa è recensione è di mero sfogo e rancore e picchio i piedi per terra e faccio i capricci. Ho un blog, ho subito un’ingiustizia. Ne scrivo. Oh!
Perché? Perché per la prima volta nella mia vita ho scritto all’ufficio reclami di EMP per lamentarmi del misfatto. Prima ho fatto autocritica, ovviamente. Ma poi ho deciso che non era necessario darmi la colpa anche per questo. Ho scritto e mi hanno detto che possono solo darmi il 15% di sconto per il prossimo acquisto su EMP.
Ma io dico NO! Non ci sto. E quindi uso la mia pausa pranzo per lagnarmi di EMP sull’internet. Perché 70 euri nono sono bruscolini. Ecco il mio appello: scrivete a assistenza.clienti