La vera storia della maledizione birresca
della strega di Bamberga
Nome: Kaiserdom
Dove: Eurospin
Costo: 1.99 europer la lattina da 1 litro
Gradi: 4,7°
Il ritorno dalle ferie è sempre stato un evento traumatico. I motivi sono molteplici: la ripresa del lavoro, l’angoscia delle pulizie post-vacanziere, la paura di trovare tutte le piante morte sul balcone, il terribile rito del “disfare le valigie” e via discorrendo. Tuttavia, tra tutti questi traumi, ve n’è uno capace di far impallidire ogni ipotesi di sopportazione. Un trauma che, matematicamente, si ripropone a ogni ritorno dalle vacanze fin dalla notte dei tempi, e che ha caratterizzato generazioni su generazioni di vacanzieri. Dal turista fai da te no-Alpituor fino al maniaco dei villaggi turistici in stile Professione vacanze. Il trauma in questione è il trauma del frigo vuoto, meglio conosciuto con la sigla SFV (Sindrome da Frigo Vuoto). Recenti indagini statistiche dimostrano, infatti, come la SFV colpisca in media nove famiglie italiane di vacanzieri su dieci, interessando una fetta non indifferente della popolazione italica e causando ogni anno un numero di decessi pari soltanto a quelli causati dalle automobiline di plastica che si trovano negli ovetti di cioccolato: ovvero zero.
La SFV consiste nella sostanziale assenza di qualsivoglia cibaria o bevanda all’interno del frigorifero al ritorno dalle vacanze, con l’evidente felicità di pizzerie, fast-food, trattorie e ristoranti vari. I quali saranno ben lieti di accogliere mandrie di infoiati ex-vacanzieri (fatta esclusione dei maniaci della dieta salutista post-vacanze), alla ricerca di una cena capace di colmare la vacuità del frigo. Vacuità inversamente proporzionale alla saturazione gonadica del constatare che, oltre al denaro speso per prenotare l’ultimo posto disponibile nel volo low cost Treviso-Francoforte (direzione Bamberga), dovranno aggiungere un altro salasso per poter porre rimedio a una problematica che, con un pizzico di maggiore accortezza, si sarebbe potuta risolvere con una semplice e banale spesa pre-partenza. Tutto ciò, ovviamente, per chi decide di affidarsi alle sapienti e care (soprattutto “care”) mani dei ristoratori italici. Per tutti gli altri le opzioni sono sostanzialmente tre:
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Infilarsi nella bolgia di un ipermercato/supermercato/negozio pakistano, così da porre fine alla penuria alimentare: soluzione che ogni buon ex-vacanziero dovrebbe evitare come il sale sulle ferite, dato che il solo contatto visivo con la folla arsa da “febris emitoria” (Bianciardi docet) potrebbe far svaporare tutto il relax (?) immagazzinato nel corso delle ferie.
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Digiunare (e qui si ritorna al concetto di cui sopra sui maniaci della dieta salutista post-vacanze, come se bastasse una cena saltata a far smaltire le tonnellate di arancini strafritti o i panini unterrimi mangiati nei peggiori fast-food dell’universo mondo).
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Immedesimarsi in un concorrente di Master Chef (versione DiscountOrDie) e cimentarsi nella creazione di un piatto (rigorosamente un “mappazzone” alla Barbieri) con tutti i rimasugli di cibo rimasti in frigo. Riuscendo nel tanto artistico quanto ingrato compito di creare qualcosa di commestibile con della farina di castagne, dei funghi champignon scaduti, del gorgonzola verminescente (fluorescente e con i vermi) e quattro o cinque pomodori San Marzano (chiamati così perché, viste le condizioni igienico-sanitarie raggiunte dal frigo, sarebbe meglio invocare la benedizione del Santo prima di consumarli).
Va subito affermato che la terza opzione è quella più gustosa (ideologicamente parlando), nonché quella preferita dagli ex-vacanzieri italiani. I quali, degni figli di un popolo di Santi, Poeti, Navigatori e Chef, finiscono con il dare libero sfogo alla loro creatività culinaria, ottenendo il duplice risultato di saturare i reparti di gastroenterologia degli ospedali italici (con la non evidente felicità degli addetti ai lavori), nonché di liberarsi dalle scorie e dalle tossine presenti tanto nel loro corpo (si riveda la seconda opzione) quanto nel loro frigorifero.
In sostanza, il delitto perfetto.
Inutile dire che, alla pari della SFV rapportata alle vicende alimentari, vi è una SFV rapportata alle Birre Ignoranti. Ed è una SFV infinitamente più ardua e problematica della precedente (al Bevitore Ignorante viene esclusa la possibilità di uscire e farsi una birra al primo pub/bar: non sarebbe una Birra Ignorante, quindi non può essere contabilizzata). Pur riprendendo in parte le opzioni citate in precedenza, infatti, (in particolar modo la triplice divisione dell’ipotetica soluzione) la SFV rapportata alle Birre Ignoranti comporta per il Bevitore Ignorante le seguenti opzioni:
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Infilarsi nella bolgia di un ipermercato/supermercato/negozio pakistano, così da porre fine alla penuria Birrignorantesca: soluzione che, oltre che scontrarsi con quanto evidenziato in precedenza parlando della SFV alimentare (stress da rientro vacanziero, deliri omicidi nei confronti di acquirenti indiavolati,…) aggiunge l’evidente constatazione che, tranne in rari casi, la Birra Ignorante che si andrà a comprare sarà calda come il sole agostano. Eventualità che, oltre a rovinare la degustazione di una sana Birra Ignorante, porterà al sorgere di una malinconica quanto letale “nostalgia istantanea” (per dirla alla Dargen D’Amico).
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Digiunare (ovvero rinunciare all’idea di bersi una buona Birra Ignorante, con tutto il malessere psicofisico che tale malsana pratica può causare nel nostro organismo).
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Bersi una delle Birre Ignoranti rimaste in frigo. Perché sì, amici cari, perché non vi è nessun Bevitore Ignorante al mondo che, parafrasando Robert De Niro in Ronin («non entro mai in un posto se non so prima come uscirne…»), andrebbe in vacanza senza sapere come ubriacarsi al suo ritorno.
Va da sé che la terza opzione per rimediare alla SFV Birrignorantesca, a differenza di quella proposta per la SFV alimentare, è la sola percorsa e percorribile; rendendo così le altre, due semplici step riflessivi prima di giungere all’unica soluzione realmente contemplata. Quella, cioè, di dare fondo ai “rimasugli” di Birre Ignoranti che, come sagge formichine, si sono lasciati raffreddare beatamente in frigo. I “rimasugli” in questione, però, non sono delle Birre Ignoranti lasciate a metà e chiuse semplicemente con la pressione contraria del tappo a corona, così da illudersi di bloccare la fuoriuscita dai gas sperando, come degli allocchi, di salvaguardare la frizzantezza e la freschezza della Birra Ignorante eletta a salvatrice della patria. Si tratta, piuttosto, di Birre Ignoranti d’infimo livello che, per un motivo o per l’altro, non hanno mai provato l’ebrezza di essere aperte/stappate. Finendo nel dimenticatoio del frigorifero, tra una confezione di capperi di cui è rimasta soltanto la salamoia e uno yogurt Milbona scaduto.
Chiedersi il perché di questa “trascuratezza” birrignorantesca è come chiedersi il perché certi libri finiscano sempre sullo scaffale più impolverato della libreria, mentre altri si trovano vita natural durante sul comodino della camera da letto: i fattori sono troppi e molteplici. E, nel caso delle Birre Ignoranti (e non dei libri), variano dall’immagine impressa sulla confezione, dalla nazionalità della birra, dalla casa produttrice, dalla dicotomia vetro/lattina e, last but not least, dalla tipologia stessa della birra (in effetti, ripensandoci, non è che per i libri sia poi troppo diverso…). In ogni caso, al mio ritorno dalle vacanze, alla desolazione del frigo vuoto (per dovere di cronaca, vi dirò che ho sopperito alla SFV alimentare con un’ottima pizza surgelata made in Eurospin) ho avuto il “piacere” di aggiungere la visione di una delle mie nemiche birrignorantesche più acerrime, la malefica e provocante birra Kaiserdom hefe-weizen.
In lattina.
Da litro.
Ebbene sì.
Chi mi segue da un po’ sa benissimo che le weizen sono tra le mie birre preferite. Allo stesso tempo, chi mi segue da un po’ sa benissimo che la Kaiserdom è una delle poche Birre Ignoranti che mi sono trovato a stroncare così su due piedi. Non chiedetemi, quindi, cosa ci facesse una Kaiserdom hefe-weizen nel mio frigo desolato e desolante. Soprattutto, non chiedetemi perché la Kaiserdom hefe-weizen presente nel mio frigo desolato e desolante fosse in lattina. O meglio, in una latta-barilotto da litro (come le mitiche Faxe di un tempo, che poi è ancora questo nostro tempo etilico e birrignorantesco) che, come detto in precedenza, campeggiava dietro la salamoia dei capperi e lo yogurt Milbona scaduto. In ogni caso, la Kaiserdom hefe-weizen in latta da litro era la mia unica ancora di salvezza dalla SFV birrignorantesca. Così, amici cari, a voi posso confessarlo: l’ho bevuta. Tutta. Fino all’ultimo sorso. Quello che segue è l’esperienza sensoriale che ho provato. Voglio avvisarvi in anticipo: nulla, nella mia esistenza, è più stato lo stesso.
La Kaiserdom hefe-weizen è una weizen tedesca prodotta nella ridente località di Bamberga, nell’alta Franconia. Oltre che per il pleonastico “Kaiserdom” (il duomo imperiale), Bamberga è nota (?) a grandi e piccini per la simpatica attività di cacciatore di streghe svolta dal principe vescovo Johann Georg II von Fuchs Dornheim nei primi decenni del XVII° secolo. Il buon vescovo von Fuchs, infatti, mandò al rogo svariate centinaia di donne ritenute (a torto o a ragione) delle infide (e intime) frequentatrici del Maligno. Pratica che, in tempi moderni, al massimo comporta un ministero o, nel peggiore dei casi, un sottosegretariato con annesso ticket per un intervento di chirurgia mastoplastica. Il vescovo von Fuchs, però, tiranneggiato fin dall’infanzia da una madre bigotta e frigida modello Signorina Rottenmeier di Heidi, nonché ottenebrato dalla sua avversione nei confronti delle libere e disinibite donne di Bamberga, iniziò a dar loro la caccia, accusandole dei peggiori e più nefasti crimini. I quali, spesso, consistevano soltanto nell’avere simpatici gatti neri per casa, volare con scope di saggina, muovere il naso esaudendo desideri a mo’ di Eleonora Giorgi in Mia moglie è una strega. Inutile dire che la ferocia e la malvagità del von Fuchs tradivano svariati complessi d’inferiorità nei confronti delle donne in generale e di quelle di Bamberga in particolare. Le quali, spaventate a morte dal von Fuchs stesso, iniziarono ad abbandonare la (non più) ridente cittadina. Leggenda vuole che solo una donna rimanesse, il cui vero nome si perse nei meandri della storia e delle tradizioni orali per venir sostituito dall’epiteto di “Strega di Bamberga”. Tale donna aveva infatti stretto un ferreo patto con il Demone delle Birre Ignoranti il quale, in cambio dell’anima della donna (bella forza: si sa che le feste migliori si fanno all’inferno, tra caldo e Birre Ignoranti), le aveva promesso la conoscenza della ricetta della Birra Ignorante perfetta. Birrificabile con semplicità tra le pianure di Bamberga, così da allietare l’intera popolazione. La Strega di Bamberga era dunque rispettata e protetta dall’intera comunità, la quale avrebbe ben piantato un palo nel sedere del von Fuchs per poi arrostirlo come una porchetta (e le dimensioni c’erano inutile negarlo…), pur di non perdere una così preziosa birrificatrice, capace di allietare e sbronzare la città intera. Tuttavia, grazie a un infimo e astemio traditore (mettiamocela via: gli astemi sono il male assoluto, alla pari dei venditori di ombrelli e di quelli che ti svelano i finali dei film prima che tu li abbia visti) il von Fuchs riuscì a scoprire il nascondiglio, con annesso birrificio, della Strega di Bamberga relegandola tanto al rogo quanto alle fiamme dell’inferno. Non che la soluzione dell’inferno fosse così disprezzata dalla strega (la quale ben volentieri si sarebbe congiunta con il buon Demone delle Birre Ignoranti, che la aspettava non a braccia aperte, bensì a furgonate di Finkbräu gelate!), tuttavia l’affronto subito dal von Fuchs la mandò su tutte le furie e, in punto di morte sulla pira ardente, pronunciò una maledizione che si sarebbe abbattuta sulla città di Bamberga per tutti i secoli a venire. «Questa città» disse la Strega di Bamberga «non sarà mai più in grado di donare al mondo una Birra Ignorante di questo nome! Ovvero, vi condanno a birrificare per tutto il resto della vostra vita BirreDiMerda!». Detto fatto. La Strega di Bamberga spirò sul rogo e, in men che non si dica, era già all’inferno a sbronzarsi di Finkbräu. Il von Fuchs, ennesimo inutile astemio di questa vicenda, si fece delle grasse e porcine risate nel sentire la maledizione pronunciata dalla strega. Se ne fece molte di meno, però, quando manipoli di truppe svedesi (stufe dei massacri immotivati del vescovo nonché dello scempio generale che andava compiendosi nei suoi possedimenti) calarono in massa a Bamberga e posero fine al suo regno. Trucidandolo e, con somma gioia femminile, richiamando le donne di Bamberga. Le quali furono ben liete di dimenticare le oppressioni del von Fuchs tra le braccia dei coraggiosi e aitanti (nonché ottimi Bevitori Ignoranti) svedesi. Insomma, tutto è ben quel che finisce bene! Peccato, però, che la maledizione della Strega di Bamberga pesi ancora sulla città, portando così alla creazione di Birre Ignoranti sconsigliabili e sconsigliate a qualunque bevitore nell’universo mondo.
La Kaiserdom hefe-weizen (1.99 euro all’Eurospin per la lattina da 1 litro), infatti, è una birra weizen ignorante dal grado etilico di 4.7°, ed ha la precisa caratteristica di essere meno frizzante di un’acqua di rubinetto liscia lasciata intiepidire su di un qualsiasi balcone agostano. La sua schiuma, causa maledizione della Strega di Bamberga, soffre di una sorta di Eiaculazione Precoce Ignorante. La quale la porta a spegnersi in pochi secondi, dopo promettenti eruzioni schiumose degne di Weizen Ignoranti ben più raffinate. Il gusto assomiglia decisamente a quello di una passata di grano frullata con l’aggiunta dell’Alcool 95° del LIDL e poi diluito con l’acqua dello sciacquone del cesso. Peculiarità che, assieme all’EPI, suggerisce un tempo di trincaggio degno di quello di Usain Bolt nei 100 metri piani. Qui, però, amici cari, sta l’inghippo! Ovvero che la versione in lattina-barilotto da 1 litro (caspita, con quattro cinque Kaiserdom ci farebbero la corazza dell’Uomo di Latta ne Il meraviglioso mago di Oz!).amplifica tutti i difetti della Kaiserdom hefe-weizen. Ovvero l’assenza di frizzantezza nonché la nausea che, dopo un litro, la rende pressoché imbevibile. Una maledizione, insomma. Nello specifico, la maledizione augurata al von Fuchs e alla sua città dalla Strega di Bamberga. «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare» direbbe il poeta, e davvero è andata così, che anche a birrificare Birre Ignoranti fino alla fine del mondo, la città di Bamberga non riuscirebbe mai a produrre nulla che non sia una BirraDiMerda. Con a vessillo e capostipite la deleteria Kaiserdom che, nella sua forma più compiuta, è buona al massimo per pulire la vaschetta dei pesci rossi o delle tartarughe. Ai temerari che vorranno cimentarsi nell’impresa, consiglio una buona dose di coraggio (come gli aitanti svedesi che massacrarono il von Fuchs) nonché un fegato capace di sopravvivere a un mappazzone a base di salamoia di capperi e yogurt Milbona scaduto. Insomma, che si dia adito al cimento!
E che, come per l’ottima Strega di Bamberga, per i martiri vi siano furgonate di Birre Ignoranti in attesa.
E sia lieve il post-sbronza.