Ober Burger ed un concerto a Varsavia nel 1983.
Nome: Ober Burger
Tasso alcolico: 5,3°
Dove: DiPiù
Costo: 65 cent
Come diceva il caro vecchio Nietzsche (che, ricordiamolo, svetta sul mio pigiama) parlando dell’Eterno Ritorno dell’Uguale: «in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte». Ora, senza andare troppo per il sottile, quest’argomentazione di Zio Friedrich era volta a sottolineare come la Storia (con la S maiuscola) tenda per sua stessa natura (con la N minuscola) a ripetersi all’Infinito (con la I maiuscola), portando l’Uomo (con la U maiuscola) a vivere un insieme di situazioni già sperimentate. Nella più totale e disarmante constatazione che no, che nulla è mai una precipua novità (con la N minuscola), bensì un Eterno Ritorno dell’Uguale (con, rispettivamente, E, R e U maiuscole e D minuscola), ovvero un eterno svolgersi di eventi circolari. Eventi già avvenuti milioni di volte nella storia dell’umanità eppure, per egocentrismo antropologico tipico dell’Homo Sapiens (H&S maiuscole), percepiti come innovativi se non propriamente come “storici”. Aggettivo che, per sua stessa natura, tradisce la circolarità espressa dal buon vecchio Nietzsche. Testimonianza tangibile di come, spesso, nemmeno noi abbiamo idea di cosa cazzo stiamo parlando. Salvo, però, farlo. Salvo, però, sentirci in dovere di esprimere la nostra singolarità.
La verità è che, quasi sempre, la storia è di un’assurdità becera (andatelo ben a chiedere ai musicisti membri del “club 27”, che nemmeno se si fossero messi d’impegno sarebbero schiattati tutti alla stessa età! oppure ai poeti del “club trenta e qualcosa”, che si sa che i poeti vivono sempre un po’ di più delle rock star…), se poi viene infarcita da un discreto numero di Birre Ignoranti (nemmeno ve le declino le maiuscole!), be’, le cose diventano ancor più interessanti. Tanto che si dovrebbe far incetta di casse e casse di Finkbräu (perché, come diceva Protagora, «la Finkbräu è la misura di tutte le cose», sappiatelo…) per poter sopportare il caro vecchio Zio Friedrich sulla spalla (lui, non la scimmia) a ribadirti che «sì, che io te lo avevo detto, e cosa cazzo pensavi, che sotto quei miei baffoni ci fosse il classico “Calboni” di turno?». Proprio no, caro vecchio Fried, che ben lo so che non sei il Calboni di turno che, diretto a Cortina, «sparava balle così mostruose che a quota 1600 Fantozzi fu colto da allucinazioni competitive!». Nemmeno io, però, sono il Fantozzi di turno, e le mie non sono affatto allucinazioni competitive, al massimo allucinazioni etiliche provocate dall’estratto di luppolo polacco. Ma questa è la parte “seria” della recensione dell’ennesima Birra Ignorante. Per ora, semplicemente, si cazzeggia.
Il 10 dicembre 1983 il sindacalista polacco filo-cristiano, amico fraterno di Papa Wojtyla e via discorrendo, Lech Walęsa riceve il Premio Nobel per la pace. L’evento, di per sé, è di estrema importanza (d’altronde, nel corso degli anni, al Nobel per la pace sono stati candidati più o meno direttamente Michael Jackson, Silvio Berlusconi, il colonnello Gheddafi e altre esimi personalità), salvo però (almeno nella mia mente) venire oscurato da un concerto tenuto a Varsavia nella stessa giornata da tre assurdi musicisti elettronici della Germania dell’Ovest che rispondono al nome di Tangerine Dream. Potrei passare giornate intere (sbronzo) a parlarvi dei Tangerine Dream e di come una decina d’anni fa, al mercato delle pulci di Bruxelles, comprai un loro vinile per 3 euro durante una delle mie vacanze emozionali più noiose e inutili. Tuttavia non è questo il caso e, fedele ai dettami di Zio Fried, mi limito a sottolineare come, mentre l’universo mondo celebrava Lech Walęsa nella sua lotta a quei bricconi dei comunisti (Lech, i soldi per fare la “rivoluzione” te li davano la CIA e lo IOR vaticano, mica i nani di Biancaneve…non coglionarci!), l’Eterno e Assurdo Ritorno dell’Uguale faceva sì che in una Varsavia sconvolta da Birre Ignoranti e droghe sintetiche, i mitici Tangerine Dream provenienti dalla temibile Germania Ovest, dessero vita a uno dei concerti più memorabili della storia del rock elettronico. Evento capace di far impallidire i moderni e facebookiani concerti dei Radiohead, creati a misura di hipster per far sapere che sì «io ci sono stato, ho il biglietto, lo fotografo, lo posto, lo instagrammo e poi lo twitto anche a Thom Yorke, tiè!». Insomma, dio benedica il 1983 e mandi a fanculo gli anni zero, e benedica anche i cari vecchi Tangerine Dream che, in una Varsavia fredda ed esplosiva come una Birra Ignorante dimenticata in congelatore (sottotitolo, non fatelo! Sbrinare una Finkbräu esplosa in congelatore con i sintomi del post sbronza è qualcosa di terribile, che quasi ti viene voglia di un ghiacciolo al gusto “Birra Ignorante”), hanno dato voce alla musica più folle e introspettiva degli ultimi trent’anni. Un po’ come la filosofia di Nietzsche. Solo con più alcol e metanfetamine.
Così va che la Storia si attorciglia, e più che “maestra di vita” si fa compagna dell’assurdo. E la Varsavia di trent’anni fa diviene il punto nevralgico di due storie talmente lontane da apparirci limitrofe. Inchiodate l’una sull’altra come gemelli siamesi separati alla nascita. Al che riprendo in mano il vinile di “Poland”, e lo suono come suonerei le mie disillusioni. Così come suonerei il crollo cattedralesco di ogni cosa in cui ho creduto (Na zdorovie, Stalingrado!). Il tutto fino a sentire in sottofondo le melodie dei Tangerine Dream, dicendomi quanto sia incredibile che, nel bel mezzo del blocco sovietico mentre un sindacalista cristiano si pigliava il Premio Nobel, resistessero le musiche. Le illuminazioni sonore. I deliri. E che tre assurdi (come la Storia, con la S maiuscola) musicisti della Germania Ovest siano riusciti a dar vita all’essenza stessa della musica elettronica. In una semisconosciuta arena di Varsavia mentre (e qui la Storia diventa una barzelletta noiosa, Zio Fried!), a qualche centinaio di chilometri distanza, in una Berlino altrettanto nevosa, una manciata di folli italiani dava vita a qualcosa chiamato CCCP. Di cui preferisco non parlare sennò mi scende la lacrimuccia e vado a dormire sbronzo e nostalgico russando al ritmo di Punk Islam.
Tutto questo, compagni, cittadini, fratelli, partigiani che siete davanti ai vostri cari computer, per dire che è bello scoprire nell’Ignoranza Birresca il ritorno dei sentimenti fanciulleschi. I ricordi più puri. I pensieri più profondi. L’Eterno Ritorno della Sbronza Ignornate, insomma. Quella tanto artistica quanto introspettiva. Tanto reale quanto definitoria. La Sbronza (con la S maiuscola) dell’Eterno Ritorno della promessa “domani smetto!”, che poi col cazzo che smetti, che mica i Tangerine Dream hanno smesso “Tangent” mentre erano a metà canzone! Quella dell’Eterno susseguirsi dell’ennesima Birra, quella che ti si incolla in mano come un nastro adesivo, che mai baratteresti per nulla al mondo, nemmeno per un Premio Nobel per la pace farlocco (metteteci voi le maiuscole e le minuscole), che mi ci gioco una fornitura a vita di Finkbräu che nessuno sbronzone ignorante, nel bel mezzo di una serata etilica, si sognerebbe di incassare un premio del genere e poi bombardare così a cazzo (nice shot, Barack!). Insomma, la verità è che ogni buon bevitore di Birra Ignorante vuole un solo Premio Nobel. Ovvero quello alla bontà e alla bevibilità! Che poi, con qualche sforzo, si bypasserebbe anche questo, perché è l’anima ciò che conta. E la volontà serena di dedicarsi non più all’Eterno Ritorno dell’Assurdo e dell’Uguale, bensì all’Eterno Ritorno della Birra. Che, se davvero accadesse, col piffero che Nietzsche avrebbe alcunché da dire. Perché Zio Fried queste cose le diceva da una vita. Che se, come affermava Protagora, la «la Finkbräu è la misura di tutte le cose», allora la Birra Ignorante è il suo macro sistema e, per poter trovare il bandolo di questa matassa chiamata vita be’, forse è il caso di perdersi etilicamente nell’ennesima bottiglia. Sperando di trovare al suo interno la risposta a ciò che stiamo cercando. Ovvero una ragione antropologico – filosofica (e qui il buon Nietzsche è con noi, pochi cazzi!) per non smettere mai di bere Birre Ignoranti. Perché, come diceva zio Fried, «la ragione è dentro di noi, solo che è sbronza da un bel pezzo».
By the way, tutto questo delirio nasce dall’ennesima bottiglia di Ober Burger, ottima Birra Ignorante in vetro dal grado etilico di 5,3° (spoiler alert: diffidate della Ober Burger in lattina, che ha meno grado etilico in quanto filo-cattolica! Perché, si sa, i produttori cattolici sono Fedeli Alla Linea dell’ultima enciclica papale, quella che dice che il male si annida nelle Birre Ignoranti in vetro!) venduta al discount DPiù al prezzo di 65 cent per bottiglia da 50 cl. Non mi dilungherò, per tirare acqua al mulino della OB, sulle ragioni per cui bere birre da 33 o 66 cl in estate sia assolutamente controproducente, da cui lunga vita alla Ober Burger da mezzo litro, piuttosto sulla leggenda che avvolge la nascita della Ober Burger stessa, birra polacca esoterica che, nella sua sola etichetta, nasconde più misteri che la copertina di “Sgt. Pepper’s” dei Beatles. L’etichetta della Ober Burger, infatti, nel suo ricorrere dei colori rosso, bianco e oro e nel suo ripetuto simbolo dei tre luppoli, si configura come declinazione involontaria dell’epopea che l’estratto di luppolo surrogato, proveniente dalla Germania Ovest ha dovuto compiere ai tempi del Muro per poter giungere fino a Varsavia. Così da portare alla nascita della Birra più Ignorante (nel senso positivo del termine) dell’intera Polonia. Inutile dire che il tramite furono le custodie degli strumenti dei Tangerine Dream. I quali, contattati dai servizi segreti polacchi, si attivarono per trasportare clandestinamente il suddetto estratto, assolutamente irreperibile nella bellissima e tormentata Polonia. Fu così che tre musicisti folli imbottirono le custodie delle loro strumentazioni con estratti di luppoli filo-sovietici (simboleggiati dall’oro nell’etichetta della OB) portandoli in terra polacca (da qui il bianco e il rosso), venendo ricompensati non tanto dal cachet del concerto, bensì dai tre luppoli che avrebbero caratterizzato vita natural durante l’etichetta della Ober Burger (e chissà come mai la OB ha un nome che ricorda il tedesco e nessuna data di fondazione! Qui bisognerebbe chiedere a Dan Brown che ci scriva su l’ennesimo romanzo del cazzo…). Simbolo tangibile del doveroso ringraziamento che i mastri birrai polacchi della OB tributarono ai cari vecchi Edgar Froese, Chris Franke e Johannes Schmoelling. Ovvero agli onirici Tangerine Dream, autori di una fruttuosa e rocambolesca importazione clandestina di materiale resistente. Rispondente al nome di estratto di luppolo.
In ogni caso, la Ober Burger è un’ottima premium da esportazione, che ha nel suo grado etilico superiore alla media delle Birre Ignoranti il suo pregio principale. Il suo gusto è discretamente erbaceo, e ricorda un misto delle ampie pianure teutoniche e delle verdi lande polacche, in un connubio indistinguibile e inestricabile. La frizzantezza rivoluzionaria la rende perfetta per le sere d’estate. Sere in cui le Birre Ignoranti ci scivolano addosso come buoni propositi, oppure come giornate di lavoro da dimenticare. O, semplicemente, come attimi di sbronza nella quiete, quando l’afa si fa insopportabile e il pensiero vola un po’ dove vuole lui che, a confonderlo, ci si guadagna in stabilità. Allora diviene quasi un dovere prendere in mano una Ober Burger gelata. Sentire dentro di lei tutta la vibrazione dell’elettronica assurda dei Tangerine Dream. Tanto che, se si accosta la bocca alla bottiglia di vetro, si può quasi sentire il freddo di quel 10 dicembre 1983. Il freddo di Varsavia. Quel freddo che ti entra nelle ossa salvo poi sciogliersi al suono della musica elettronica. E la Ober Burger sembra quasi scendere in gola al ritmo di “Tangent”, con i membri dei Tangerine Dream a guardarti orgogliosi. E poi, in lontananza, metteteci anche Giovanni Lindo e Zio Fried ad annuire. Che si sa che i sogni non portano da nessuna parte. Perché il viaggio deve essere sempre concreto, mai fantastico. E deve essere un viaggio rivoluzionario, pochi cazzi! Rivoluzionario come i sogni rinchiusi in bottiglia e gettati alla deriva. Alla ricerca di altri lidi. Di altri idoli. Di altre fantasiose negazioni dell’Eterno Ritorno dell’Uguale. Di altre rivoluzioni (birresche) a cui votarsi, insomma. Anche se, come diceva Simón Bolívar, «coloro che hanno servito la rivoluzione hanno arato il mare».
Di Birre Ignoranti, ovviamente…