Hefe-weissbier PITTINGER,
di quella vecchia puttana capitalista della GDO
e di quel vecchio ubriacone di Hemingaway.
Nome: Pittinger Hefe-weissbier
Costo: 80 cent
Dove: Despar
Tra i molteplici effetti della globalizzazione ve n’è uno che, per un cultore di Birre Ignoranti doc, non può certamente passare in secondo piano, ovvero la diffusione di brand da discount all’interno di supermercati della GDO. La Grande Distribuzione Organizzata o, come preferisco chiamarla, la Vecchia Puttana Capitalista. Capita così che colossi come Coop, Interspar, Esselunga e chi più ne ha più ne metta, producano la loro autonoma marca-discount; venduta solitamente a prezzi bassissimi. Concorrenziali anche per i discount più marci e scafati dell’intero emisfero occidentale. Inutile, quindi, girare troppo attorno alle motivazioni economiche che stanno alla base di questa scelta. Prendiamo il dato di fatto così come ci si presenta, ovvero che, qualora fossimo (e lo siamo, dio mio se lo siamo!) alla ricerca di una nuova Birra Ignorante, potrebbe ben capitare che essa si trovi tra gli sboronissimi scaffali di qualche mostro della GDO. Con alla sua destra una nobiliare Affligem Blonde e, alla sinistra, quell’ex proletaria della Moretti da 66 cl (“il Morettone, c’è solo il Morettone, il Morettone, oh oh oh il Morettone!” scusate, reminiscenze di cori giovanili…), che negli anni zero è stata la prima ad aprire la stagione delle “larghe intese”. Bene, l’ultima scoperta di questa nuova radice spuria è una weizen di nome Pittinger Hefe-weissbier, scovata niente meno che nei teutonicissimi scaffali del Despar di paese. Lo stesso che, durante il vecchio febbrone da cavallo di tre anni or sono, mi aveva regalato quella meraviglia visiva (ma ciofeca alcolica) dell’Apostel brau: la birra dell’apostolo. La sola birra capace di avvicinarti a dio in quanto potenzialmente letale se assunta a dosi massicce durante febbri terzane che sfiorano i quaranta gradi. Così, felice di questa mia nuova scoperta (e dimentico dell’esperienza karmica dell’Apostel brau), mi sono portato a casa diverse lattine di Pittinger Hefe-weissbier, soprassedendo anche alla bruttissima lattina, color tuorlo d’uovo andato a male, e al logo stesso della Pittinger che, si dice in giro, sia costato la vita al designer che lo ha progettato, tanto è palese il ricorso ai font taroccati di Word 97. Bill Gates docet.
Ho tenuto le Pittinger in frigo per qualche giorno, attendendo il momento propizio per degustarle (?). O meglio, attendendo l’ispirazione, come un buono scrittore attende l’ispirazione per il testo che andrà a scrivere. Così, dopo giorni di riposo, ieri è giunta l’illuminazione e, folgorato sulla via di Damasco, mi sono versato la mia bella Pittinger su un buon bicchiere di vetro e ho iniziato a berla. Sorso dopo sorso. Ne ho bevute un bel po’, a dire il vero, e non perché fossi attratto dal gusto della Pittinger stessa, bensì per l’evidenza che no, che davvero non riuscivo proprio a sbronzarmi! Che vi posso dire, amici cari, sarà stato il film di Iñárritu che stavo guardando (e qui coglione io, che continuo a guardar film di Iñárritu nonostante sappia che mi lasciano più a terra di una ruota bucata), oppure le notizie sconfortanti sul preventivo del meccanico per la revisione della Vespa, fatto sta che proprio non ne volevo saperne di essere sbronzo. E di questo, poche storie, c’era una sola colpevole: la Pittinger Hefe-weissbier. Desiderata e deludente quanto la protagonista di “Non me la menare” di quei reazionari degli 883.
Ho deciso, quindi, di onorare una vecchia citazione di Ernest Hemingway (quasi certamente spuria dato che il novanta per cento delle citazioni di Hemingway sono come quelle di Jim Morrison, ovvero frasi ricopiate a caso su una vecchia Smemoranda, -a proposito, esiste ancora la Smemoranda?- e poi attribuite a cazzo al personaggio famoso di turno) cioè “write drunk, edit sober”. Scrivi da ubriaco, correggi da sobrio. Il problema nell’adattarsi a questa massima, però, era di duplice natura: morale e fisiologica. Morale perché il vecchio Hem mi è sempre stato un po’ sul cazzo (soprattutto certi suoi romanzi paraculi, e una spocchia da stronzo nei confronti del buon Scott Fitzgerald, che sarà stato anche un fighetto, ma che aveva una sana passione per tutto ciò che era distruttivo, da vero punk. Hemingway, invece, lo vedo un po’ hipster del cazzo…). Fisiologica perché non ero assolutamente sbronzo dopo tre quattro Pittinger. Così, tirando brevemente le somme della questione, mi sono reso conto che il solo modo di coniugare il tutto era quello di correggere questa recensione da sbronzo, cosa che sto facendo, approfittando della sobrietà datami dalle Pittinger durante l’ipotetica scrittura mentale della recensione stessa. In poche parole, ribaltando la massima di Hem, ho scritto la recensione da sobrio, mentre la correggerò da sbronzo. E non abbiatene a male per i refusi o per le sparate alte. Potere delle Pittinger Hefe-weissbier, niente di più niente di meno. Perché se non fosse stato per lei, adesso sarei bello e sobrio a correggere dei deliri notturni. E invece no, invece mi trovo qui in una sbronza pomeridiana ad ascoltare Socialismo e Barbarie dei CCCP,con Giovanni Lindo Ferretti che canta “raffina i sentimenti, trasgredisci i rituali. Vali molto di più di un aumento economico. Meriti molto di più di un posto garantito. Che non avrai! Che non avrai! Che non avrai!”. Detto questo (e stendendo un velo pietoso sulla deriva del Giovanni Lindo nazionale, che mi piange il cuore vederlo dar ragione a Ferrara!), via con la recensione.
La Pittinger Hefe-weissbier è una weizen tedesca, prodotta non si sa dove da non si sa chi. E non sto scherzando, dato che la lattina non dice nulla in merito (se non che è “prodotta in Germania”), e una breve ricerca online assegna come possibili luoghi di produzione quanto meno tre quattro birrifici, uno più diverso dall’altro (“dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”). Ma, come potete immaginare, questo conta ben poco. La Pittinger, dicevamo, è una weizen da 5.3 gradi di tasso alcolico. Viene venduta in lattine da mezzolitro, la cui caratteristica principale è quella di confermare ogni mio pregiudizio sulle lattine d’alluminio, ovvero che se si vuol bere una weizen sgasata, allora giù di latta tutta la vita. Non a caso la schiuma della Pittinger dura circa tre secondi netti dopo esser stata versata in bicchiere, e la sua frizzantezza si dissolve in pochi minuti, aprendo le papille gustative a quel buon retrogusto di sapone di Marsiglia da discount che è il marchio di fabbrica della Pittinger. Perché sì, perché la Pittinger sa proprio da detersivo per piatti! Che, a ripensarci bene, dato che ieri sera ho dovuto ricorrere alla solita tattica fondi di detersivo + acqua di rubinetto + shake shake shake per lavare i piatti della cena, alla luce dell’assenza di sbronza potevo anche sacrificare una Pittinger per sciacquare il tutto. Per lo meno avrebbe lasciato sui piatti quel buon effluvio di sapone di Marsiglia, altro che il solito odore di aceto andato a male. Se dovessi trovar un pregio alla Pittinger, però, punterei al suo colore. Che è davvero bello, e a vederlo così, versato su un bel bicchiere da birra, diresti quasi di esser di fronte a una weizen blasonata. Una di quelle che quasi ti viene voglia di dedicarle una degustazione con tutti i crismi. Salvo poi correre il rischio di lasciar passare i fatidici pochi minuti di frizzantezza, e di trovarti così di fronte a un bel bicchiere di sciacquatura per piatti (ma bella gialla, di un giallo zafferano birroso, invogliante!). In definitiva, se comparata al prezzo di un detersivo per piatti medio (circa un euro al litro), la Pittinger Hefe-weissbier è discretamente economica: con 80 cent se ne può portar a casa una lattina da mezzolitro, capace di risolvere ogni tipo di problema di igiene domestico e, perché no, di rincuorare cromaticamente le giornate primaverili più uggiose. La Pittinger va assunta rigorosamente fredda, possibilmente con uno di quei frullini che si usano per fare la schiuma dei cappuccini a portata di mano. Che non si sa mai che, dandole un colpo di tanto in tanto, la Pittinger Hefe-weissbier risorga, dimostrando al mondo intero che “un uomo deve subire molti castighi per scrivere qualcosa di veramente divertente” – E. Hemingway (?) -; e, posso assicurarvelo, la Pittinger Hefe-weissbier è uno di questi.